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Black pills #3 \\ Pierpy

4 Settembre, 2020 - 01:32 Guerriglia filosofica 0 Commenti
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pierpaolo capovilla

001 — Niente inizia senza prima un sogno.
Per questo bisognerebbe prestare particolare attenzione, particolare cautela, a ciò che si sogna e a come lo si sogna.

C'è stato un momento, spalmato e dilatato per diversi anni, in cui P. è stato sulla cresta dell'onda all'interno del panorama del rock italiano, assieme alla sua band. Alcuni uomini, a quanto pare, possono godere, in vita, di questa grande fortuna, di questo immenso privilegio.

Le sue dichiarazioni a carattere politico, spesso sopra le righe, e le sue bordate, scagliate contro l'inebetita società italiana, trovavano puntualmente asilo nelle pagine di riviste culturali e quotidiani nazionali. Show in tutte le principali città e l'immancabile seguito di fedelissimi discepoli sempre pronti a pendere, a colare come bava biancastra, dalle labbra del nuovo profeta.

Quando il tuo pubblico aumenta costantemente di numero si può arrivare facilmente a credere che il bacino di consumatori finali del prodotto artistico, un'autentica miniera di spettatori, sia destinata a non esaurirsi mai.

È in quel momento, forse, che ho sognato davvero di poter fare giusto quattro chiacchiere con quello che era, a detta di tutti gli addetti ai lavori, una delle manifestazioni più luminose, e illuminate, della creatività umana del nuovo millennio. Almeno per quanto riguarda la penisola...


*


002 —Sappiamo bene, nessuno escluso, come funzionano queste cose: un giorno sei sulla bocca di tutti, la stella polare, l'astro più brillante del firmamento, il punto di riferimento.
Poi ti basta sbagliare una mossa e chi prima ti adorava, nel giro di un secondo ti dimentica senza pietà alcuna. All'industria dello spettacolo, del resto, spetta il compito di sfornare in continuazione i sostituti, i rincalzi, le novità clamorose in grado di soffiare via quello che ormai non è nient'altro che un semplice residuo. Nient'altro che un mucchietto di passato polveroso.


*


003 — Non ci possiamo fare niente: è una legge che vale per gli imperi, che si ripete puntuale lungo il corso della storia; vale in natura, per tutte le forme di vita, compreso l'uomo, che può sperimentare il fenomeno sulle sue stesse carni.

Si nasce, si sorge, si raggiunge l'apice, il punto più alto della traiettoria, e poi arriva, immancabile, il declino, il tramonto.

L'incantesimo si spezza: passi dall'essere un Re Mida, in grado di trasformare in oro puro ogni cosa su cui appoggi le mani, alla triste e insopportabile condizione di comune mortale, ormai incapace di riproporre, con la solita efficacia, i prestigi che caratterizzavano i tuoi spettacoli. Qualcosa si rompe, o forse, più semplicemente, sta scritto nel grande libro delle leggi dell'universo che tutto deve procedere inesorabilmente verso la sua fine, verso il proprio compimento.


*


004 — Intercetto il mio uomo al termine di un concerto, mentre naufraga nella sua personalissima parabola discendente verso il nadir.

Ho avuto modo, nel tempo, di studiare nel dettaglio ogni più piccola mossa: se hai un piano, del resto, non devi fare altro che seguirlo.

Avere due conoscenze in comune con lui, presenti nel posto, mi regala un discreto vantaggio in fase di “approccio”.
Ci presentiamo, come richiede il rituale sociale: mi riserva il minimo di attenzione necessaria, io sarò presumibilmente la cento milionesima persona con cui si trova ad avere a che fare dopo una serata.

Riesco pure a condividere con lui con un po' di THC che, si sa, in questi casi si rivela una sostanza utilissima per rompere il ghiaccio, soprattutto tra perfetti sconosciuti.

Sento come un cigolio di catene, di ruote, di ingranaggi: il ponte levatoio della mia fortezza si abbassa e così diventiamo due schieramenti, uno di fronte all'altro.
Ma lui non si immagina neppure lontanamente costa sta per succedere.


*

005 — Le regole del gioco mi sono ben chiare: ho a disposizione tre domande: due sarebbero poche, quattro sarebbero eccessive. 
Il THC aiuta a creare, in pochi minuti, un livello sufficiente di confidenza. 
Tra le migliaia di questioni che posso tirare fuori dal cilindro per imbastire un primo contatto, in fase di analisi preliminare ne ho scelto accuratamente una ben precisa, anche se corro il rischio di risultare terribilmente banale.

“Le azioni d'attacco in battaglia sono soltanto due: l'attacco frontale ordinario e quello laterale di sorpresa, ma le loro combinazioni sono infinite e nessuno può dire di conoscerle tutte”.
(Sun Tzu – L'arte della guerra)


*


006 — Così prendo coraggio e sparo: — Posso farti una domanda? Ti hanno mai chiamato Pierpy? — gli chiedo a bruciapelo.

Mi guarda un po' sbigottito, ma le regole che compongono il protocollo di cortesie e buone maniere, ritenuto valido nella nostra dimensione sociale, gli impongono, per così dire, di concedermi una risposta. 
— A dire il vero no — replica con un mezzo ghigno — qualche amico mi chiama Pierpa, ma Pierpy mai.

Bene. Io sono il primo, dunque.
— Ti crea problemi se ti chiamo Pierpy? — insisto.
— No... — taglia corto.


*


007 — Lascio passare diversi minuti e nel frattempo mi preparo per l'assalto vero e proprio. 
Tutt'attorno la situazione diventa frizzante.
Ci troviamo di fronte ad un piccolo caseggiato in mattoni, trasformato per l'occasione in un camerino riservato agli artisti.
Il rituale è sempre lo stesso: gruppi di ragazzi, tutti piuttosto giovani, si accalcano attorno al nucleo denso composto dai protagonisti assoluti dell'evento.
Ognuno di loro ha qualcosa da chiedere, dei complimenti da consegnare al destinatario, degli elogi a cui dare libero sfogo. Io aspetto pazientemente il mio turno.


*

008 — Il mio uomo sorseggia del vino nei pressi di quegli spogliatoi improvvisati.
Con un movimento rapido mi piazzo di fronte a lui, lo guardo in faccia e gli chiedo:
— Hai già un'idea sul quando smetterai di cantare con il tuo gruppo?

Mi guarda come se all'improvviso gli avessi spiaccicato in faccia una torta ricoperta di panna, come nelle più classiche gag.

— Cosa intendi?
— Beh... — attacco — ...arriva un momento, nella vita, in cui devi appendere le scarpette al chiodo. Succede a tutti. Anche Pirlo ha mollato con il calcio appena si è accorto che gli altri ormai correvano molto più di lui...

Un tizio robusto, che per l'occasione veste i panni dell'addetto alla sicurezza e che sta partecipando, in qualità di testimone, al discorso, scuote energicamente la testa in segno di convinta affermazione.

— Chi cazzo è Pirlo? — mi sputa contro P. — e perchè mi stai dicendo queste cose?
— Perchè a me è capitata una cosa simile poco tempo fa — cerco di spiegargli. — Cantavo in un gruppo punk – hard core ma mi sono reso conto che era il caso di smetterla.

P. prende la palla al balzo. — Ah....quindi passavi il tempo a gridare....così? — mi dice mentre assume la classica posa da scimmia urlatrice, tipica dei front-man dediti a quel bizzarrissimo genere musicale.
— Uoh! Uoh! Uoh! Uoh! — urlacchia, sarcastico.
— Già... — gli rispondo divertito — Invece ora mi piace da impazzire parlare con le persone, proprio come sto facendo con te.


*


009 — Ormai mi sono spinto così in profondità che non mi resta nient'altro da fare che piazzare l'esplosivo, costi quel che costi. Non ho alternative.
Riesco a intrufolarmi all'interno dello stanzino, afferro un bicchiere e mi verso del vino.
P. sta in disparte, si concentra sulle varie bevande sistemate sopra ad un tavolino.
Il teatro dello scontro finale.


*


010 —  Mia cugina F., che peraltro conosci, mi ha detto che, secondo l'astrologia cinese, io e te siamo entrambi delle scimmie: possiamo andare estremamente d'accordo, oppure entrare in forte contrasto.
—Ripeti esattamente quello che hai appena detto... — mi sfida.
Io non posso fare altro che ripetere esattamente, parola dopo parola, l'enunciato appena espresso.

A quel punto, P. tuona con voce potentissima, come se fosse ancora sopra al palco, come se stringesse ancora tra le mani il microfono:
— Sei un chiacchierone! — mi grida contro. — Sei un chiacchierone!!
Le pareti della stanza quasi tremano.


*


011 — Mi rendo conto che il tempo a mia disposizione sta per esaurirsi. Devo fare in fretta.
Mi cambio gli abiti e indosso una delle mie tenute preferite: quella da kamikaze.

Per il resto, è tutto piuttosto semplice: punto l'obbiettivo e mi ci schianto contro.
È anche e soprattutto per questo che vivo; è per svolgere questa funzione che mi hanno addestrato.

— Dai, davvero non c'è nient'altro che ti piacerebbe fare a parte la musica?
Le mie parole, almeno così mi sembra ancora a oggi, a distanza di alcuni anni, hanno l'effetto di una molotov: la situazione si incendia irrimediabilmente.

P. deflagra con una violenza che raramente ho visto, dal vivo, uscire fuori da un essere umano. Ormai grida.
— Vorrei essere a casa a scopare con la mia donna, ma nemmeno posso perchè sono impotente! E ora esci da questa stanza.

Diventa gigantesco. Mi indica la porta con gesto solenne e si scaglia contro il mio mutismo, ancora, con l'ennesimo potentissimo: — Esci da questa stanza!

Sento lo sfintere anale che vibra a frequenze supersoniche, come se tutto il mio fisico fosse investito da un'energia immensa.
Il tizio robusto che vigila in prossimità della porta d'ingresso mi invita, con un'occhiata eloquente, a lasciar perdere.
Game over.

Abbandono il campo di battaglia. La fine.
Dopo alcuni secondi P. schizza dentro ad un autoveicolo, parcheggiato nelle vicinanze, e si fa riaccompagnare immediatamente in albergo.

La vita, a volte, è una faccenda davvero paradossale.

*

012 — Concluderò la nottata assieme ad alcuni giovani fan di P. e della sua band, nel bel mezzo di una piazza che lentamente si svuota, a chiederci come mai un uomo di quel calibro, che in passato aveva abbondantemente dato prova della sua veemenza dialettica e del suo acume, fosse andato a dormire così presto quella sera...

...ma forse, tra gli effetti collaterali più sgradevoli del successo, rientrano pure certi incontri, certi intoppi, certe notti burrascose...

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"Ed ora che il dio mi ha assegnato un posto di combattimento, così almeno io credo di dover interpretare il suo volere, posto di combattimento che è quello di vivere filosofando, esaminando me e gli altri, sarebbe veramente cosa grave se io, per paura della morte o d'altro, disertassi il campo".

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